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L'ANELLO DI PAPA FRANCESCO

«L'Anello di Papa Francesco»

Forse pochi hanno notato che per la messa della notte di Natale Papa Francesco

ha indossato l’anello piscatorio dorato. Un segno, ripetuto già altre volte da Bergoglio,

che per lui quel secolare oggetto di potere che indica il Papa “felicemente regnante”,

secondo la celebre e antica formula, è in realtà un elemento liturgico da usare in alcune

solennità. Non c’è potere in Francesco. Non c’è comando. Non c’è un despota, un tiranno,

un monarca assoluto (come a volte sono stati Papi anche molto recenti). Non c’è un uomo pronto a disfarsi

del collaboratore “molesto”, per usare un eufemismo, col celebre “promoveatur ut amoveatur”, da Bergoglio giustamente definito un “cancro”, ma ripetuto nella Chiesa molte più volte del Padre nostro. E questo anche in epoche recenti.

Eppure lo “stile Francesco” sembra più un unicum che la normalità. Uno stile di ascolto, di servizio, di autentica testimonianza che certamente condivide pienamente con i suoi più stretti, capaci e fidati collaboratori.

Primo tra tutti il cardinale Segretario di Stato vaticano Pietro Parolin, che fin da piccolo si è visto sacerdote,

come lui stesso ha confessato, e che al massimo per la sua “carriera” aveva ipotizzato una parrocchia di periferia,

come è la chiesa romana che si è scelto quando ha ricevuto la berretta rossa da Francesco. Uno stile che si incarna perfettamente negli altri fidati collaboratori “romani” di Bergoglio: i cardinali Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il clero, Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei vescovi, e Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Uno stile che precede l’arrivo di Francesco sul trono di Pietro

e che, con l’elezione al pontificato del 13 marzo 2013, si conferma nonostante i riflettori del mondo. Così come questo stile di servizio si rispecchia nei 56 nuovi cardinali creati dal Papa. Essi provengono da 39 nazioni, 11 delle quali

non avevano mai avuto un porporato prima. Di questi attualmente sono 44 gli elettori in un eventuale conclave.

Nel suo attesissimo, dopo le 15 patologie curiali di due anni fa, discorso natalizio alla Curia romana il Papa ha confermato la sua determinazione ad andare speditamente e serenamente avanti nell’opera di riforma chiesta anche a gran voce dalle congregazioni generali dei cardinali, come lui stesso ha ricordato, che hanno preceduto il conclave che lo ha eletto. Parole chiare: il 13 marzo 2013 c’era da iniziare una seria e radicale opera di bonifica della Curia romana e con essa

una vera e propria “conversione” della Chiesa cattolica. E si trattava di trovare le spalle forti su cui poggiare questo fardello. Spalle che avrebbero dovuto sopportare anche le inevitabili e pesantissime critiche che sarebbero arrivate durante la riforma, scontentando le secolari e corrotte cordate. Francesco si appresta a iniziare il suo quinto anno

di pontificato e con esso ad affrontare i nemici che anche nel 2017 non mancheranno. Bergoglio non ha nessuna paura

di ciò, come dimostra tutta la sua biografia, proprio perché non ha mai fondato la sua esistenza prima ancora che il suo sacerdozio sul potere e la carriera. Se così fosse stato avrebbe sicuramente agito diversamente da provinciale dei gesuiti dell’Argentina quando fu poi messo da parte proprio dai suoi confratelli che ora, indossata la talare bianca, gli tributano applausi fragorosi. “Mi è un po’ difficile – ha affermato Francesco parlando alla 36esima Congregazione generale dei gesuiti che ha eletto il nuovo ‘Papa nero’, padre Arturo Sosa Abascal – rispondere, perché bisogna vedere da dove vengono le critiche. È difficile perché, nella mia situazione e nell’ambiente in cui mi muovo, le critiche alla Compagnia hanno in prevalenza un sapore di tipo restaurazionista. Vale a dire, sono critiche che sognano una restaurazione, quella

di una Compagnia che magari una volta attraeva, perché quelli erano i suoi tempi, ma che non è desiderabile ai nostri giorni, perché il tempo di Dio per la Compagnia oggi non è più quello. Dietro alle critiche c’è questo tipo di ragionamento. Ma la Compagnia a questo proposito dev’essere fedele a ciò che le dice lo Spirito. Quanto alle critiche, comunque dipende anche da chi le fa. Vale a dire, bisogna discernere da dove vengono. Credo che a volte perfino il peggiore

dei malintenzionati possa fare una critica che mi aiuta. Bisogna ascoltarle tutte e discernerle. E non bisogna chiudere

la porta a nessuna critica, perché corriamo il rischio di abituarci a chiudere porte. E questo non va bene. Dopo un discernimento, si può dire: questa critica non ha alcun fondamento, e scartarla. Ma dobbiamo sottoporre ogni critica

che sentiamo a un discernimento, direi, quotidiano, domestico, ma sempre con buona volontà, con apertura di cuore

e davanti al Signore”. Parole analoghe a quelle che Bergoglio ha detto nell’intervista concessa a Tv2000. “I detrattori parlano male di me, e io me lo merito, perché sono un peccatore: così mi viene di pensare. Quello non mi fa pensare,

non mi preoccupa. Ma non te lo meriti per questo! No. Però, per quello che lui non sa. E così risolvo il problema.

Ma l’adulatore è… non so come si dice in italiano, ma è come l’olio viscido”. E di viscidi anche in Vaticano ce ne sono

non pochi. Ma Francesco sa difendersi molto bene.

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L'ANELLO di Papa Francesco
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